MACEO CARLONI
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Sindacalista negli anni del fascismo

Dopo molti anni dalla chiusura delle due vicende giudiziarie poc'anzi descritte, nel 1972, Sergio Bovini pubblicò nel volume "L'Umbria nella resistenza, l' "Elenco delle azioni compiute dalla Brigata Gramsci" elenco in cui Maceo Carloni era definito come "capoccia fascista del Ternano, despota e sfruttatore del proletariato ternano" e si affermava che "il proletariato ternano e tutto il popolo avevano salutato con gioia l'atto eseguito dai combattenti della libertà".
Querelato da Stelvio, Enrico e Paolo Carloni, il Bovini venne assolto – per insufficienza di prove sul dolo – dal Tribunale di Perugia, il quale, nella sentenza dell'8.3.1978 , demolì la ricostruzione, avvalorata dall'imputato, contenuta nell'Elenco delle azioni compiute dalla Brigata Gramsci e concluse affermando che i lavoratori ternani non avevano esultato per la morte del rappresentante della Commissione interna da loro democraticamente eletto, in quanto ben conoscevano la sua onestà e capacità, nonché il coraggio con cui aveva difeso i loro diritti: come espressamente riconosciuto dall’ex Prefetto di Terni (Giovanni Maria Formica) e, durante il processo, dallo stesso difensore del Bovini (Avv. Francesco Innamorati- ex partigiano della Divisione Cremona , decorato al valor militare).
Una corretta ricostruzione della figura del Carloni sarebbe stata possibile, secondo il Tribunale, in quanto erano facilmente reperibili e consultabili non soltanto la dichiarazione dell'ex Prefetto di Terni, ma altri numerosi documenti, tra i quali gli scritti dell'ucciso e le sentenze con le quali il Comandante della Brigata Gramsci Alfredo Filipponi, autore dell'Elenco, era stato amnistiato sia per l'omicidio, sia per aver diffamato la memoria della vittima. Secondo i giudici, invece, il Bovini forse al fine di dimostrare determinate tesi sulla Resistenza, prescindendo volontariamente da ogni accertamento sulla verità dei fatti esposti e dall'esame delle fonti, o forse per negligenza, di altri documenti atti a fornire un un quadro più concreto e obiettivo della vicenda che interessa il Carloni: ciò facendo, secondo i giudici perugini, egli aveva tradito la sua funzione di storico, avvalorando le gratuite accuse mosse da Alfredo Filipponi al Carloni, il quale aveva e ha il diritto al riconoscimento di quegli attributi di lealtà e probità che non possono essergli negati sol perché militante in opposta formazione politica e professante una ideologia diversa da quella del Filipponi.
Nel giudizio d'appello il Bovini ottenne dai querelanti la remissione della querela dopo aver dichiarato che aveva dato credito alla fonte da lui pubblicata nel convincimento della sua serietà e che "solo dopo la querela presentata dai figli di Maceo Carloni era venuto a conoscenza di particolari ed episodi tali da dargli un'immagine molto diversa del defunto". Di ciò, egli scrisse, si rammaricava, riservandosi nel caso di una nuova edizione di inserire una nota in tal senso.